Autore: operaipogea

 

Convegno Le cavità artificiali della Liguria. Conoscenza, valorizzazione e fruizione fra impatti e rischi

Venerdì 3 Novembre 2017 ore 9:00 – 13:00

Nell’ambito dell’incontro internazionale di speleologia FINALMENTESPELEO2017

Organizzazione: Centro Studio Sotterranei, Commissione Nazionale Cavità Artificiali, Delegazione Speleologica Ligure, Ordine Regionale Geologi della Liguria, Società Italiana di Geologia Ambientale, Società Speleologica Italiana.

 

Locandina Convegno 3.11.2017

Riunione annuale Commissione Nazionale Cavità Artificiali SSI

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Data: 3 novembre 2017

Dalle  ore 14.00 alle ore 18.30

presso i locali messi a disposizione dagli organizzatori della manifestazione “Finalmente Speleo 2017” – Finale Ligure (SV)

Principali argomenti all’ordine del giorno:

Opera Ipogea: volume 1-2/2017

La Commissione Nazionale Cavità Artificiali: stato dell’arte

Resoconti attività dei membri della Commissione in sessioni tecnico-scientifiche:

– Simposio “Mundus Subterraneus, Urbino 2016”

– Convegno Sigea “Tecniche di Idraulica Antica, Roma 2016”

– Congresso internazionale di speleologia in cavità artificiali “Hypogea 2017” (Turchia)

– Congresso internazionale di Speleologia 2017 (Australia) e attività della Commission for Artificial Cavities della International Union of Speleology

– Giornate di Studio “Condizioni di stabilità di cavità ipogee ed edifici storici” Orvieto, 2017

– Convegno Nazionale Sigea & Consiglio Nazionale Geologi “Cavità di origine antropica, modalità d’indagine, aspetti di catalogazione, analisi della pericolosità, monitoraggio e valorizzazione (Roma, 1 dicembre 2017) patrocinato dalla Società Speleologica Italiana

– Aggiornamenti sul terzo congresso internazionale di speleologia in cavità artificiali “Hypogea 2019” (Bulgaria)

Proposta di collaborazione con altra Commissione UIS sul Multi-Language Dictionary

Rappresentante italiano UIS per la definizione della simbologia CA

Proposta nomine Coordinatore CNCA e Curatore Catasto Nazionale CA SSI per rinnovo incarichi 2018/2020.

Omologazione corsi SSI speleologia in cavità artificiali. Analisi della problematica e relative valutazioni.

Varie ed eventuali.

La riunione è aperta a tutti i Soci SSI interessati alle tematiche inerenti le cavità artificiali.

Giulio Cappa da Tullio Dobosz Opera Ipogea 2_2016

La Commissione Nazionale Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana (CNCA-SSI), costituita nel 1981, ha l’obiettivo primario di mettere in rete gli speleologi che svolgono attività scientifiche nel settore.

Cura il database speleologico di sintesi denominato “Catasto Nazionale delle Cavità Artificiali, aggiorna la catalogazione tipologica delle opere ipogee artificiali condividendola in ambito della International Union of Speleology (UIS). Ha prodotto la classificazione delle cavità artificiali, suddivise in categorie  secondo la destinazione d’uso, identificando in modo sintetico la natura: la struttura è basata su  sette tipologie principali, a loro volta suddivise in sottotipologie.

Analizza i dati acquisiti da speleologi nelle varie regioni italiane e nel corso di campagne e ricerche condotte in Italia e all’estero, produce la simbologia nazionale e internazionale di riferimento, contribuisce all’aggiornamento del dizionario plurilingue UIS per le cavità artificiali.

Sviluppa progetti di sintesi tipologica e censimenti tematici quali, ad esempio, la La Carta degli antichi acquedotti ed il “Censimento degli Emissari artificiali dei bacini endoreici”.

Dal 1999 cura la pubblicazione della rivista della Società Speleologica Italiana Opera Ipogea –Journal of Speleology in Artificial Cavities garantendone l’elevato standard qualitativo grazie ad un Comitato Scientifico internazionale di alto profilo.

ContattiProf. Michele Betti artificialiATsocissi.it (sostituire AT con @)

Per maggiori informazioni sulle attività delle Commissioni SSI vedi artt. 32-39 del Regolamento della Società Speleologica Italiana http://www.speleo.it/site/images/doc/regolamento_ssi.pdf

Esplorato un profondo pozzo artesiano a Villar San Costanzo (Cuneo)

“Ciao, sono Maurilio, faccio parte dello Speleo Club Saluzzo, abbiamo sempre svolto attività in grotte carsiche, ma sabato scorso ci è capitato di esplorare un pozzo artesiano…”.

“Si, certo – gli rispondo – le cavità artificiali uno non se le cerca, di solito ci inciampiamo nel corso dell’attività e poi capita di rimanerne affascinati”.

Sabato 21 ottobre 2017, a Villar San Costanzo (Cuneo), nel giardino della Locanda “I Gelsi” lo Speleo Club Saluzzo F. Costa CAI Monviso ha intrapreso la sua prima esplorazione in cavità artificiali. I proprietari della locanda discorrevano da tempo con Maurilio Chiri “Nonno Brinu” della possibilità di calarsi per esplorare il pozzo e dopo una prima prospezione dall’esterno, condotta con l’ausilio di una telecamera, due squadre di speleologi si sono alternate nell’esplorazione vera e propria che è stata condotta con il supporto di tecnici specializzati in lavori su corda e ambienti confinati, verificando costantemente la qualità dell’aria durante la discesa.

discesa brandizzata copia

Si tratta di un pozzo della profondità di 71,5 metri e diametro di 96-112 centimetri, con buona probabilità un pozzo-cisterna funzionale ad attingere e conservare l’acqua potabile o utilizzata per scopi irrigui prima della realizzazione del vicino Canale Comelia, che riceve acque dal torrente Maira e grazie al quale nel XV secolo venivano alimentati anche i mulini.

Pozzo brandizzata

Dalle verifiche speleologiche eseguite il pozzo presenta nei primi 18 metri dalla vera un rivestimento in pietre e mattoni (non riscontrati segni di alloggiamento travi di sostegno), i successivi 12 metri risultano scavati nel conglomerato sedimentario al quale fa seguito un imponente strato di roccia viva (granito) sulla quale sono ancora ben visibili i segni dello scalpello. Verso il fondo riappare il conglomerato e un rivestimento terminale in muratura sostenuta da supporti in legno ormai degradato.

pozzo 2 brandizzata

Oltre alla particolarità del rivestimento, che sarà analizzato nel dettaglio per comprendere l’alternanza di strati permeabili ed impermeabili, va sottolineato che il piano di scorrimento del torrente Maira si troverebbe 30 metri più in alto rispetto al fondo del pozzo. Lo studio proseguirà con l’analisi dei frammenti di malta prelevati dall’interno del pozzo e con studi bibliografici che possano consentire un inquadramento storico della imponente struttura. Ci auguriamo che al termine dello studio i risultati vengano pubblicati su questa rivista perché l’analisi di questa interessante opera idraulica potrebbe consentire comparazioni con strutture similari.

CG Redazione Opera Ipogea

speleologi brandizzata

Cagliari Sotto. Record di visitatori per l’esposizione del fotografo Marco Mattana

La mostra è stata ospitata presso il SeArch (sede espositiva dell’Archivio storico) di Cagliari, dal 13 Luglio al 15 ottobre 2017 fra gli eventi della manifestazione Cagliari Paesaggio organizzata dal Comune di Cagliari e patrocinata dalla Federazione Speleologica Sarda e dal Gruppo Speleo-Archeologico “Giovanni Spano” di cui Marco Mattana fa parte. Oltre 10.900 visitatori nei tre mesi di apertura al pubblico.

©Marco Mattana Photography tutti i diritti riservati

©Marco Mattana Photography tutti i diritti riservati

L’esposizione “Cagliari Sotto“, racconta attraverso le originali fotografie di Marco Mattana una città, Cagliari, che muta sotto le strade al pari della città “di sopra”. Un viaggio nella storia ala scoperta del cuore segreto della principale città sarda. Le immagini attraversano la storia, dai Fenici agli Spagnoli, passando per la Carales dell’Impero Romano e il Castel di Castro dei pisani, fino ai fatti storici più recenti e l’utilizzo degli ambienti sotterranei come rifugi antiaerei durante la Seconda Guerra Mondiale.

La mostra presso SeArch sede espositiva Archivio Storico di Cagliari

La cultura, la religione e le necessità tengono in vita la storia delle cavità artificiali cagliaritane per millenni.

L’esposizione è un percorso sotterraneo nella città per immagini che passa da un lato all’altro di Casteddu: dal quartiere del Porto a quello del Faro, da quello degli artigiani a quello del commercio, senza mai addentrarsi in una “grotta” uguale alla precedente. La mostra è ora in attesa di nuova collocazione in altri spazi espositivi.

©Marco Mattana Photography tutti i diritti riservati

©Marco Mattana Photography tutti i diritti riservati

©Marco Mattana Photography tutti i diritti riservati

©Marco Mattana Photography tutti i diritti riservati

 

Presentazione al pubblico della riscoperta dell’acquedotto Giove Fontanelle (Caserta)

Locandina Presentazione Giove Fontanelle

Dai primi mesi del 2016 il gruppo di speleologi composto dai Geol. Luca Cozzolino e Sossio Del Prete, gli Ing. Luca Farina e Alfredo Massimilla e dalla Dott.ssa Lucia Testa, ha avviato una ricerca allo scopo di documentare quel che resta dell’acquedotto Giove-Fontanelle, che insieme all’acquedotto di S. Elmo costituisce l’Acqua Piccola di Caserta, cioè l’insieme di opere idrauliche costruite prima dell’Acquedotto Carolino, per rifornire il cantiere della Reggia di Caserta, e successivamente utilizzata per alimentare il Real Sito di San Silvestro.

Fontanelle
L’Acqua Piccola, a dispetto del nome, ha svolto un importante ruolo per la storia di Caserta, senza aver mai ricevuto la meritata attenzione.
Le ricerche storico-archivistiche sono state affiancate da esplorazioni speleologiche che hanno permesso di riscoprire quest’opera dimenticata. Un grande contributo è venuto dalla collaborazione degli abitanti del posto.

St_Elmo
Per ringraziare della collaborazione ricevuta e per destare l’attenzione necessaria per la conservazione di quanto resta di quest’importante opera, saranno presentati i primi risultati della ricerca con fotografie e video realizzati nel corso delle esplorazioni.
Saranno presentati brevemente anche gli altri acquedotti storici della Campania e le grotte naturali dei Monti Tifatini, in particolare la Grotta di Monte Castello, recentemente esplorata per la prima volta.

Tritone

Secondario Pozzo Vetere

 

L’UROBORO

uroboro

Prefazione (ndr)

L’Uroboro è un simbolo molto antico rappresentato da un serpente che si morde la coda, aggrovigliato in un cerchio senza inizio né fine. Simboleggia quindi l’infinito, l’eterno ritorno e la ricerca della perfezione, insinuando nel contempo un sottile quanto legittimo dubbio: il tutto equivale al niente?

Questo racconto ©Giovanni Badino fa parte di una serie di sue novelle ancora inedite che mettono in evidenza, in modo ironico e a volte amaro, aspetti della speleologia mai presi in considerazione prima d’ora. Il filo conduttore di tutte è la “deviazione”, intesa nelle sue diverse accezioni (geografica, antropologica, etica, relazionale) mentre l’invito implicito che affiora dai vari racconti è quello di provare a modificare il rapporto esageratamente complesso che abbiamo oggi con il mondo, compreso quello ipogeo, riappropriandoci della semplicità che caratterizzava la speleologia fino a qualche decennio fa, prima che alcune storture (spesso mentali) la distogliessero in larga parte dagli obiettivi primari ovvero la ricerca, la scoperta e l’esplorazione.

Un diverso modo di intendere il rapporto fra l’uomo e l’ambiente grotta, l’uomo e la sua storia, l’uomo e sé stesso.

In Uroboro, unico racconto della raccolta dedicato alla speleologia in cavità artificiali, Giovanni Badino immagina il confronto fra speleologi che si trovano a censire una struttura ipogea di difficile attribuzione. Il risultato è esilarante. La Commissione Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana ha prodotto da molti anni la classificazione tipologica delle cavità artificiali. Nel corso del tempo si è reso necessario aggiornare periodicamente la codifica, quando – ad esempio – venivano scoperte nuove tipologie di cavità. Oggi l’albero delle tipologie è condiviso anche in ambito internazionale dalla Internation Union of Speleology e ripreso da studiosi di varie discipline. E’ indispensabile per censire in modo oggettivo una struttura ipogea artificiale e, pur nella sua apparente complessità, segue una logica che deriva da anni di studio e confronto fra gli speleologi italiani.

Anche questo episodio, come gli altri della raccolta, è frutto della fantasia dell’Autore ma in questo caso  i personaggi, pur celati da nomi diversi, esistono realmente. Lasciamo ai nostri lettori più curiosi scoprire di chi si tratta, se ne avranno voglia.

Ringraziamo Giovanni Badino per aver concesso la pubblicazione del racconto in anteprima su questo sito, augurandoci di poter sfogliare presto il volume con tutti i racconti.

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L’UROBORO 

Testo ©Giovanni Badino

E vietata la riproduzione anche parziale del testo in qualsiasi forma.

Albero delle tipologie

 

Sono in quattro, seduti davanti all’ingresso, con ancora i caschi in testa, alla luce del sole che tramonta.

“E’ davvero strano”.

“Sì, incredibile”.

“Ma com’è possibile? E’ un numero sacro, ma qui che c’entra?”

“Infatti non è possibile, pare un sogno. Però conferma in modo definitivo la nostra Classificazione delle Cavità Artificiali e la fondatezza dell’Albero delle Tipologie. Non è poco”.

“Sì, ma…”. Si zittisce e scuote il capo.

“Ma è impossibile”, conclude.

“Eppure è così, l’abbiamo visto coi nostri occhi. In poche ore”.

Poche ore fa, nello stesso posto.

L’ingresso è squadrato, molto basso perché ingombro di una frana che è stata evidentemente scavata di recente, ma in origine doveva essere ampio, adatto alla passaggio di due o tre persone affiancate.

Rita è emozionata, sta accompagnando tre mostri sacri della speleologia nelle cavità artificiali. Accendono le luci, superano il passaggio basso e lo scivolo, si inoltrano nel corridoio. Arrivati ad uno slargo, Rita si ferma e si volta.

“Vedete, qui c’è questa nicchia”.

“Chiaramente una tomba di tipo loculo “, dice Anna.

“Quasi un arcosolio, vedi la curva”, corregge Ugo.

“Già…”, comincia Luca.

Interviene Rita: “Certo, una tomba, e quindi lì per lì avevo classificato la cavità come Culto C, Sepolcrali 2, quindi C2; e infatti è confermato dalla successiva”, i passi echeggiano nella galleria, alla destra appaiono altre tombe, c’è un buco nel pavimento, “ma sono sette tombe scavate attorno a questo pozzetto, vedete che lo evitano, e questo è profondo una decina di metri e porta a quella che avevamo giudicato una cisterna per l’acqua, quindi sarebbe una cavità fatta inizialmente a questo scopo”.

“Esatto, quindi un Idrauliche A, Cisterne 4, quindi A4 diventato poi C2”, conferma Anna.

“Sarebbe così, ma poi se guardate il soffitto della cisterna…”, Rita tira fuori dei fogli e mostra le immagini a tutti, “…scoprite che è tutto inciso, e che sul muro di fondo c’era una nicchia con incisa una V rovesciata e due trattini a lato, e dei resti di un bassorilievo a fianco, e un canale di drenaggio che scaricava fuori della sala, vedremo poi dove. Poi…”, ha ripreso a guidare il gruppo in avanti, “abbiamo scoperto anche che c’era un accesso precedente, questo”.

Si è fermata davanti ad un passaggio in ripida discesa, ampio, con una scala, “passaggio che al fondo era chiuso da un muro più recente che sigillava la sala per renderla a tenuta d’acqua. E con la stessa tecnica hanno sigillato anche lo scarico. Sul muro, bizzarramente, c’è una scritta VII, sette in Latino”.

“Prima hai detto che nella nicchia c’è una V rovesciata? Ma è il cinque etrusco. Quindi anche là c’è un sette”.

Si fa silenzio.

“Ma è chiaro. Quindi era un luogo di culti ctoni dedicati all’acqua per la presenza di una sorgente…” inizia Ugo.

“Culto di Vacuna”, dice Anna.

“Potrebbe essere invece di Argizia”, osserva Luca.

“O Feronia. E poi per qualche motivo hanno cambiato destinazione alla sala che è diventata cisterna, ma forse mantenendo il numero per la sua sacralità. Quindi non vedo il problema, hai una fase Culto C, Luogo di Culto 1, quindi C1 a cui è seguita quella A4 e poi la C2”, finisce di chiarire Ugo.

Rita accenna col capo.

“Infatti anche a noi pareva così, ma poi abbiamo notato altri usi. Vedete qui, quella che era una tomba ad arcosolio è stata sfondata hanno fatto questo corridoio in salita e poi questa ambiente…”, ora sono entrati in fila in un’ampia sala e illuminano attorno, “…con sei sedili e questa sorta di trono, che chiaramente aveva uno scopo di riunione o roba simile”.

“E c’era qualcuno con un ruolo dominante. Cos’è quell’incisione sopra il trono che sembra un lampadario rovesciato?”, dice Luca.

“Boh, non si capisce, paiono tre righe sovrapposte, le due superiori con tre piccole V e quella inferiore con una sola. Una sorta di mappa della sala?”.

“Sembra un simbolo in caratteri cuneiformi, fatto di sette elementi. Sarà stata una sorta di sala del consiglio.”

Ugo accenna di sì con la testa, chiarisce: “Mi pare convincente, si tratta di un uso civile piuttosto raro, quindi è certamente da classificare Insediative Civili B, Altri Insediamenti 8, cioè B8. Io ho già avuto dei casi simili dalle mie parti…”

Rita interrompe Ugo: “sì, ma venite di qui, vedete che uno dei sedili è stato mezzo scavato via, rompendo la simmetria della sala, per realizzare questa scala in salita”, ci si infila, gli altri la seguono.

Emergono in un corridoio superiore, umido, con un odore di muffa e nicchiette alle pareti.

“Ecco, vedete, qui non riuscivamo a capire cosa avessero fatto a fare questa galleria con tutte queste nicchie, su sette livelli. Non sono né tombe né colombari, poi abbiamo fatto analizzare quei terricci e, scoperta, cosa abbiamo trovato?”

La complessità crescente della cavità e quest’ultima domanda stanno cominciando ad irritare i tre invitati.

“Coltivavano coca”, dice Ugo, e ridacchia per la sua battuta.

“Non coca ovviamente, ma funghi. Funghi allucinogeni!”, aggiunge trionfante Rita.

“Però, notevole, anche una cavità dalle mie parti aveva una destinazione simile, ma per coltivare champignon. Ma bene, questa è chiaramente l’ultima fase, ed è Estrattive E, Coltivazioni 5, quindi E5!”, dice Luca.

“E forse quella che abbiamo passato non era la sala delle riunioni ma di viaggi allucinogeni! Ma non è la fase finale perché il corridoio successivamente… Venite a vedere”.

Si incamminano e il corridoio si amplia dopo aver ricevuto una galleria ascendente da cui arriva un rigagnolo, le nicchie sono ancora visibili ma scalpellate, la galleria ora è in lieve discesa e va curvando.

“Chiaramente questo tratto di galleria, una volta in disuso per la coltivazione, è stato riutilizzato come scarico, come fognatura!”, conclude Rita.

“Curioso. Dunque questa cavità sarebbe C1 poi A4 poi C2 poi B8 poi E5 e infine qui Idrauliche A, Fognature 7. Insomma, A7!”

“Anche a noi pareva così semplice”, dice Rita, “ma in tal caso non vi avremmo consultati”.

Sei occhi la fissano sorpresi.

Lascia passare qualche secondo di silenzio e poi aggiunge, con enfasi: “pare effettivamente più recente, e infatti qui ci sono incisioni…”, illumina un punto della parete; con la luce radente appaiono delle linee, un paio di lettere consunte e un sette.

“Sembrano robe più recenti ma se continui nella galleria puoi andare avanti per un centinaio di metri sino ad una frana. Il guaio è che la galleria passa vicino alla cisterna già luogo di culto che abbiamo visto all’inizio”.

“E la taglia”, dice Ugo.

“No. E’ il luogo di culto che è stato chiaramente costruito evitando la fognatura. E anzi, la cosa misteriosa è proprio che la sorgente del sala del culto scaricava nella fognatura, appunto”.

Si fa silenzio. Lo rompe Luca.

“Ma questo è impossibile, la fognatura sarebbe quindi precedente a tutto!”

“Esatto, e se guardi nel dettaglio come è fatta, vedi che è tutta quanta progettata prima del luogo di culto. Anche la tecnica di scavo è uguale da cima a fondo. La sala è successiva, viene riutilizzata come cisterna sotterranea con gallerie di accesso, poi adattate per usi sepolcrali, poi ampliata per chissà quali riunioni, poi adattata per coltivazioni di funghi sicuramente in relazione alle riunioni, e infine trasformata in fognatura. Che però è precedente al luogo di culto. Chiaramente”.

Il silenzio che scende è rotto solo da un lontano gorgogliare d’acqua. Sembra che il ruscello ridacchi.

Rita assapora il trionfo, continua: “quindi è da classificare C1, A4, C2, B8, E5, A7, poi riprende C1, A4 e così via all’infinito, come un serpente che si morde la coda. Ma potrebbe anche essere A4, C2, B8, E5, A7, C1 e via dicendo a seconda di quale uno considera la prima fase. Quindi non è una cavità artificiale facile da classificare”.

“E’ un Uroboro”, dice Ugo.

“Cosa?”

“Un serpente che si morde la coda. Dal greco Ouroboros. Dalle mie parti…”.

“No, è vero, non è facile classificare. Ma notate, le lettere della Classificazione sono: CACBEA”, dice Anna pensierosa.

“Brava Anna, bella idea! Potrebbe essere il nome in qualche lingua pre-indoeuropea! Kak-Bea, cosa potrebbe significare? Grotta Urbana? Cavità Artificiale? Questo sarebbe un serio argomento a sostegno della nostra Classificazione delle Cavità Artificiali”, dice Luca.

“O forse la chiave è nel 142857. Vediamo…”

Ugo lo scrive sul pavimento.

“Non pare un numero interessante”, dice Anna.

“E’ impossibile che non sia interessante, questo significherebbe che il nostro Albero delle Tipologie è sbagliato. Se lo moltiplico per due cosa succede? Anna, hai la calcolatrice nel tuo telefono?”

“Certo”. Lo estrae di tasca e poi batte il numero sulla tastiera.

“Per due uguale a duecentoottantacinquemila settecentoquattordici. Non è interessante neppure questo”

“Strano, prova per tre”.

Lo stillicidio continua in lontananza.

“Dunque per tre fa quattrocentoventottomila cinquecentosettantuno. Niente”.

“Io credo che la chiave sia nella parola non indoeuropea e non nei numeri, figurati se quelli che hanno scavato questa cavità erano matematici”, dice Luca.

“Può darsi, ma Anna, prova ancora, per quattro cosa fa?”

“Fa… cinquecentosettantunomila quattrocentoventotto”

“… No, non ha nessun senso”.

“Forse Bea Cac era il nome della sacerdotessa dei riti della sorgente, vestale di Vacuna”, ipotizza Anna.

“O forse il nome era Ak Beac, lo stregone dei riti allucinogeni”, dice Luca.

“Aspetta Anna, prova a moltiplicare il numero per cinque”, dice Rita che prima era rimasta pensierosa a guardare lo schermo del telefono di Anna mentre faceva i calcoli.

“Uffa, fa… settecentoquattordicimila duecentoottantacinque”.

“Ho capito!”, urla Rita, suscitando echi nelle gallerie.

La fissano tutti. Prende il telefono dalle mani di Anna,

“Che fantastica la vostra Classificazione delle cavità artificiali, fantastica. Ecco, 142857 per 2 fa…”, si è chinata a incidere col dito le cifre sul fango secco del pavimento, “285714, poi per 3 fa…”, digita e scrive il nuovo numero sotto il precedente, “428571, per 4 fa 571428, per 5 fa 714285 e a questo punto per 6 farà… 857142!!! Incredibile!”

“Incredibile cosa?” chiede Luca.

“Non vedi che sono sempre le stesse cifre, nello stesso ordine, che scorrono? Puoi variare il punto iniziale, ma poi la sequenza è sempre la stessa, circolare nelle cifre. E questa cavità è circolare nel tempo!”

Si è fatto silenzio, mentre gli altri cercano di afferrare la cosa.

“Ma com’è possibile?”, chiede Anna.

“Non lo so, è un mistero matematico”, dice Rita.

Luca, si è perso fra i numeri e continua a pensare alle lettere.

“Non escluderei comunque il nome K-Beaca, con un suono occlusivo palatale iniziale che è caratteristico di tante lingue del substrato mediterraneo. Forse era il nome del progettista della cavità”.

“Che evidentemente doveva essere un raffinato matematico”, conferma Ugo, sollevato, “anche dalle nostre parti ci sono diverse cavità che possono essere classificate con una palatale sonora. E a questo proposito, nella Classificazione manca la R, quindi le sigle delle cavità non possono rendere i nomi originali se in quelli c’erano delle consonanti vibranti”.

“Hai ragione Ugo”, dice Luca, “sono consonanti molto usate nel substrato linguistico mediterraneo. Ad esempio non si può rendere il suono KR, che sta per luogo pietroso e da cui derivano le parole carso e…”.

“Sì, alla prossima riunione facciamo una riflessione su questo punto per perfezionare l’Albero delle Tipologie”, taglia Anna.

“Ma nel frattempo come la classifichiamo?”, chiede Rita.

Si fa silenzio. Lo rompe Anna.

“Potremmo fare così, in attesa della riunione: stabiliamo che per le cavità circolari nel tempo come è questa, la classificazione è O, che è circolare, seguita dai numeri della classificazione”.

“Bell’idea, Anna, O di Ouroboros”, dice Luca.

“Oppure uno zero, che è anche circolare!” dice Rita.

“Va bene, anche uno zero. E poi c’è la serie dei numeri, qui 0,142857”.

“Anzi, ripetendo la serie dei numeri all’infinito, come nei numeri periodici”.

“Ma questo è impossibile, riempiresti qualsiasi scheda catastale, anche grandissima”.

“Giusto, non si può”. Riflette.

“Idea! Segni solo il periodo, con un soprasegno come si fa in matematica”.

“Già, ma quei numeri periodici non erano frazioni?”, chiede Luca.

“Ah è vero Luca, sei un genio, vediamo che frazione è. Sarà l’inverso di qualcosa”, Anna ha afferrato il telefono e scrive.

“Uno diviso zero virgola uno quattro due otto cinque sette uno quattro due otto cinque sette uno quattro due” ha riempito lo spazio delle cifre.

“Uguale a…”.

Si zittisce, con gli occhi sbarrati a guardare lo schermo. Lo mostra agli altri.

Altri sei occhi si sbarrano.

C’è scritto: “7”. Esattamente.

In lontananza il ruscello continua a creare echi nella galleria. Pare che ridacchi.

©Giovanni Badino è vietata la riproduzione anche parziale del testo.

Giulio Cappa ci ha lasciato

Il 21 Novembre 2016 Giulio Cappa ci ha lasciato. Tutti i componenti della Commissione Nazionale Cavità Artificiali e della Redazione di Opera Ipogea si stringono ai suoi familiari con immenso cordoglio.

Per Giulio la speleologia ha rappresentato una ragione di vita. Ha dedicato una larghissima parte del suo tempo a questa attività, avendo enormi capacità tecniche e organizzative che si univano ad una intuizione brillante e felice. Censire, documentare, topografare, fotografare. E’ stato per tutti un Maestro disponibilissimo, paziente ma anche intransigente: le cose dovevano essere fatte bene! perché tutto quello che lasciamo (un disegno, una foto, un appunto), sarà patrimonio di chi viene dopo. Ha contribuito alla nascita della Commissione Nazionale Cavità Artificiali della SSI, ne è stato per lungo tempo Coordinatore, ha seguito la crescita dell’attività rappresentando per tutti un preciso punto di riferimento. E’ stato il più convinto sostenitore della necessità di istituire un Catasto anche per le cavità artificiali. Ha seguito e contribuito alla nascita di questa rivista, è stato membro del suo Comitato Scientifico.

Ti auguriamo Buon Viaggio Giulio, con profonda riconoscenza e affetto. 

1996: Corso SSI "Roma Sotterranea" (foto C. Germani - EGERIA)

1996: Corso SSI “Roma Sotterranea” (Foto C. Germani – Archivio EGERIA)

1999: Corso CA Campiglia Marittima (Foto C. Cavanna)

1999: Corso Cavità Artificiali Campiglia Marittima (Foto C. Cavanna)

(foto T. Dobosz)

(foto T. Dobosz-Archivio EGERIA)

(foto T. Dobosz)

(foto T. Dobosz- Archivio EGERIA)

2009, Velletri (RM) (foto L. Ferri Ricchi)

2009: Velletri (RM) (foto L. Ferri Ricchi)

2012: Monte Tuscolo (RM) (foto C. Germani)

2012: Monte Tuscolo (RM) (foto C. Germani-archivio EGERIA)

 

Gli ipogei del presidio Wermacht sulle alture di Borzoli (Genova).

Riparo alto di via Rivassa (archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova).

Si tratta di cavità di modeste dimensioni, scavate in metabasalti del Monte Figogna, che acquisiscono interesse per il loro contesto storico-geografico: l’area studiata era infatti sede di un presidio della Wermacht durante la Repubblica Sociale Italiana e la posizione offre un’eccellente panoramica sull’area cantieristica di Sestri Ponente, la cui importanza era considerata strategica dall’occupante.

Oltre alle cavità qui descritte, abbiamo notizia di altri ipogei siti in proprietà private e/o parzialmente occlusi probabile oggetto di un prossimo studio.

L’area studiata (stralcio CTR Liguria 1:5000): •A: presidio tedesco, composto da: oA1: Casamatta di Bric la Bianca; oA2: Riparo alto di via Rivassa; oA3: Riparo basso di via Rivassa; oA4: Riparo del pollaio; • B: Riparo presso il Rio Battestu.

A) Presidio tedesco

Casamatta di Bric la Bianca (A1)
Costruzione a pianta circolare in cemento e pietra; sullo stesso spartiacque si trovano le note postazioni antiaeree di Bric dei Corvi e Bric di Teiolo.

Riparo alto di via Rivassa (A2)
Galleria lunga circa 15 m, alta circa 2,20 m e larga in media 2 m. Anteriormente al riparo, a circa 8 m di distanza, è scavata una trincea di forma a “T”. Il pavimento della cavità è cosparso da materiale di crollo e le pareti presentano molte fratture, alcune delle quali recenti.

Riparo alto di via Rivassa (archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova)

Riparo alto di via Rivassa (archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova)

Riparo alto di via Rivassa

Riparo basso di via Rivassa (A3)
Si trova lungo un rio che incrocia via Rivassa all’altezza del cartello dell’oleodotto. Ha uno sviluppo di circa di circa 4 m, con l’ingresso parzialmente occluso da detriti. Presenti: stillicidio, rifiuti all’interno, sbarre di ferro cementate all’ingresso.

Riparo basso di via Rivassa

Riparo del pollaio (A4)
E’ una nicchia profonda circa 1 m che si trova in un terreno privato, chiusa da una lamiera.

B) Riparo presso il Rio Battestu

Interessante riparo, scavato lungo il Rio Battestu, sito in zona impervia e distaccato rispetto agli altri. Consta di una piccola galleria ad L lunga circa 5 m, alta circa 1 m e larga circa 90 cm.

Riparo presso il rio Battestu

L’ingresso è stato in parte riempito di detriti e fango trasportati dalle piene del torrente.
Ipotizziamo sia stato utilizzato come nascondiglio o riparo durante il periodo bellico.

Riparo di Rio Battestu (archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova).

 

© Andrea Roccatagliata & Alberto Romairone (Speleo Club Gianni Ribaldone Genova)

Il rifugio antiaereo di Molassana (Genova)

Rifugio antiaereo Genova Molassana (foto Archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova).

Nell’ambito delle ricognizioni effettuate all’interno di ipogei inediti, siti nel Comune di Genova, si è provveduto a visitare e rilevare una struttura di protezione antiaerea che si trova nel quartiere genovese di Molassana. La pianta generale del rifugio è a tridente con tre ingressi, dei quali, quello centrale, occluso da materiale franato dalla collinetta soprastante. Gli accessi sono protetti da muri anti soffio dello spessore di circa 1 m.

Rifugio antiaereo Genova Molassana (foto Archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova).

La galleria dell’interno, dello sviluppo lineare complessivo di circa 70 m, ha una larghezza variabile da 3 a 1,5 m e un’altezza media di 2 m. ed è caratterizzata da bellissime concrezioni calcaree di diverse e complesse fogge e cospicua presenza di fauna ipogea. è stata infatti visivamente rilevata la presenza del pipistrello Rhinolophus ferrumequinum, del geotritone del genere Speleomantes, dell’artropode Scutigera coleoptrata e della caratteristica lumachina blu del genere Oxychilus.

Rifugio antiaereo Genova Molassana (foto Archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova).

Si segnala inoltre la presenza, nei pressi del ingresso centrale, di una piccola edicola votiva di forma triangolare sotto la quale è ancora parzialmente leggibile un’iscrizione di colore rosso, recante la dicitura “Ora pro nobis”, ed il numero 43, forse l’anno di costruzione della struttura o di dedica dell’effige sacra attualmente scomparsa. Come di consueto, seguiranno indagini archivistico-bibliografiche al fine di approfondire il contesto in cui si colloca la struttura.

Rifugio antiaereo Genova Molassana (Copyright Archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova riproduzione vietata).

Contributo di Henry De Santis con la collaborazione di Alberto Romairone e Andrea Roccatagliata (Speleo Club Gianni Ribaldone Genova).

Rifugio antiaereo Genova Molassana (foto Archivio Speleo Club Gianni Ribaldone Genova).

 

LA CRIPTA DEI POLACCHI NELLA GRAVINA DI PETRUSCIO A MOTTOLA (PUGLIA)

PETRUSCIO Panorama

Panorama della Gravina di Petruscio (Foto archivio Centro Speleologico Alto Salento)

L’agglomerato trogloditico di Petruscio rappresenta uno dei più interessanti esempi del popolamento rupestre della Puglia. Il casalis Petrugii (così nelle fonti medievali) si estende su entrambi gli spalti di quella omonima gravina (Foglio IGM 202 IV NO) che Pietro Parenzan ebbe a definire “Un vero gioiello. Uno spettacolo eccezionale per la Puglia, l’itinerario più bello da visitare a Mottola”.

Ingresso

Ingresso alla Cripta dei Polacchi (Foto archivio Centro Speleologico Alto Salento)

Il Centro Speleologico dell’Alto Salento di Martina Franca ha effettuato nella Gravina di Petruscio una ricognizione di una grotta-chiesa poco nota, scavata lungo la fiancata est, detta dei Polacchi (n. 265 PU/CA del catasto delle cavità artificiali di Puglia). La cripta è così denominata a seguito di un cospicuo numero di date e nomi incisi dai cattolicissimi militari polacchi. A Mottola (collina a circa 400 m. slm), infatti, durante la Seconda guerra mondiale, era di stanza il 2° Corpo di Armata polacco comandato dal generale Przewlocki Marian Roman (soprannominato “Lewz Mottoli”, ossia “Leone di Mottola”) al quale il sindaco Sebastiano D’Aprile concesse per meriti (gennaio 1946) la cittadinanza onoraria. La cripta, anticipata da un dromos, risulta non finita, priva di affreschi e di presbiterio con triforium, ed è importante per la tecnica di scavo. Presenta tre vani che dovevano costituire tre absidi terminanti con altrettanti altari. Interessante è la grande croce latina a rilievo ricavata tra l’abside sinistra e quella centrale.

Croce

Interno Cripta dei Polacchi (Foto archivio Centro Speleologico Alto Salento)

Lo stato di conservazione è ottimo e davanti all’ingresso non ci sono crolli. La difficoltà ad individuarla, nonostante la precisa planimetria realizzata a suo tempo da Franco dell’Aquila, era dovuta alla crescita di una foltissima vegetazione, soprattutto rovi, che ne occulta completamente il basso ingresso. Si è provveduto quindi a collocare la targhetta del censimento della Regione Puglia, abbiamo fissato il chiodo del punto GPS, ed effettuato il rilievo planimetrico e la documentazione fotografica della cavità.

Bibliografia: F. Dell’Aquila, L’insediamento rupestre di Petruscio, Bari 1974; P. Parenzan, Petruscio. La Gravina di Mottola. Natura e civiltà rupestre, Galatina 1989; F. Dell’Aquila-A. Messina, Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata, Bari 1998, p. 238; P. Lentini, Lungo i sentieri rupestri di Mottola, Mottola 1998, pp. 191-195.

Contributo a cura di Vito Fumarola e Silvio Laddomada (Centro Speleologico dell’Alto Salento)