L’UROBORO

uroboro

Prefazione (ndr)

L’Uroboro è un simbolo molto antico rappresentato da un serpente che si morde la coda, aggrovigliato in un cerchio senza inizio né fine. Simboleggia quindi l’infinito, l’eterno ritorno e la ricerca della perfezione, insinuando nel contempo un sottile quanto legittimo dubbio: il tutto equivale al niente?

Questo racconto ©Giovanni Badino fa parte di una serie di sue novelle ancora inedite che mettono in evidenza, in modo ironico e a volte amaro, aspetti della speleologia mai presi in considerazione prima d’ora. Il filo conduttore di tutte è la “deviazione”, intesa nelle sue diverse accezioni (geografica, antropologica, etica, relazionale) mentre l’invito implicito che affiora dai vari racconti è quello di provare a modificare il rapporto esageratamente complesso che abbiamo oggi con il mondo, compreso quello ipogeo, riappropriandoci della semplicità che caratterizzava la speleologia fino a qualche decennio fa, prima che alcune storture (spesso mentali) la distogliessero in larga parte dagli obiettivi primari ovvero la ricerca, la scoperta e l’esplorazione.

Un diverso modo di intendere il rapporto fra l’uomo e l’ambiente grotta, l’uomo e la sua storia, l’uomo e sé stesso.

In Uroboro, unico racconto della raccolta dedicato alla speleologia in cavità artificiali, Giovanni Badino immagina il confronto fra speleologi che si trovano a censire una struttura ipogea di difficile attribuzione. Il risultato è esilarante. La Commissione Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana ha prodotto da molti anni la classificazione tipologica delle cavità artificiali. Nel corso del tempo si è reso necessario aggiornare periodicamente la codifica, quando – ad esempio – venivano scoperte nuove tipologie di cavità. Oggi l’albero delle tipologie è condiviso anche in ambito internazionale dalla Internation Union of Speleology e ripreso da studiosi di varie discipline. E’ indispensabile per censire in modo oggettivo una struttura ipogea artificiale e, pur nella sua apparente complessità, segue una logica che deriva da anni di studio e confronto fra gli speleologi italiani.

Anche questo episodio, come gli altri della raccolta, è frutto della fantasia dell’Autore ma in questo caso  i personaggi, pur celati da nomi diversi, esistono realmente. Lasciamo ai nostri lettori più curiosi scoprire di chi si tratta, se ne avranno voglia.

Ringraziamo Giovanni Badino per aver concesso la pubblicazione del racconto in anteprima su questo sito, augurandoci di poter sfogliare presto il volume con tutti i racconti.

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L’UROBORO 

Testo ©Giovanni Badino

E vietata la riproduzione anche parziale del testo in qualsiasi forma.

Albero delle tipologie

 

Sono in quattro, seduti davanti all’ingresso, con ancora i caschi in testa, alla luce del sole che tramonta.

“E’ davvero strano”.

“Sì, incredibile”.

“Ma com’è possibile? E’ un numero sacro, ma qui che c’entra?”

“Infatti non è possibile, pare un sogno. Però conferma in modo definitivo la nostra Classificazione delle Cavità Artificiali e la fondatezza dell’Albero delle Tipologie. Non è poco”.

“Sì, ma…”. Si zittisce e scuote il capo.

“Ma è impossibile”, conclude.

“Eppure è così, l’abbiamo visto coi nostri occhi. In poche ore”.

Poche ore fa, nello stesso posto.

L’ingresso è squadrato, molto basso perché ingombro di una frana che è stata evidentemente scavata di recente, ma in origine doveva essere ampio, adatto alla passaggio di due o tre persone affiancate.

Rita è emozionata, sta accompagnando tre mostri sacri della speleologia nelle cavità artificiali. Accendono le luci, superano il passaggio basso e lo scivolo, si inoltrano nel corridoio. Arrivati ad uno slargo, Rita si ferma e si volta.

“Vedete, qui c’è questa nicchia”.

“Chiaramente una tomba di tipo loculo “, dice Anna.

“Quasi un arcosolio, vedi la curva”, corregge Ugo.

“Già…”, comincia Luca.

Interviene Rita: “Certo, una tomba, e quindi lì per lì avevo classificato la cavità come Culto C, Sepolcrali 2, quindi C2; e infatti è confermato dalla successiva”, i passi echeggiano nella galleria, alla destra appaiono altre tombe, c’è un buco nel pavimento, “ma sono sette tombe scavate attorno a questo pozzetto, vedete che lo evitano, e questo è profondo una decina di metri e porta a quella che avevamo giudicato una cisterna per l’acqua, quindi sarebbe una cavità fatta inizialmente a questo scopo”.

“Esatto, quindi un Idrauliche A, Cisterne 4, quindi A4 diventato poi C2”, conferma Anna.

“Sarebbe così, ma poi se guardate il soffitto della cisterna…”, Rita tira fuori dei fogli e mostra le immagini a tutti, “…scoprite che è tutto inciso, e che sul muro di fondo c’era una nicchia con incisa una V rovesciata e due trattini a lato, e dei resti di un bassorilievo a fianco, e un canale di drenaggio che scaricava fuori della sala, vedremo poi dove. Poi…”, ha ripreso a guidare il gruppo in avanti, “abbiamo scoperto anche che c’era un accesso precedente, questo”.

Si è fermata davanti ad un passaggio in ripida discesa, ampio, con una scala, “passaggio che al fondo era chiuso da un muro più recente che sigillava la sala per renderla a tenuta d’acqua. E con la stessa tecnica hanno sigillato anche lo scarico. Sul muro, bizzarramente, c’è una scritta VII, sette in Latino”.

“Prima hai detto che nella nicchia c’è una V rovesciata? Ma è il cinque etrusco. Quindi anche là c’è un sette”.

Si fa silenzio.

“Ma è chiaro. Quindi era un luogo di culti ctoni dedicati all’acqua per la presenza di una sorgente…” inizia Ugo.

“Culto di Vacuna”, dice Anna.

“Potrebbe essere invece di Argizia”, osserva Luca.

“O Feronia. E poi per qualche motivo hanno cambiato destinazione alla sala che è diventata cisterna, ma forse mantenendo il numero per la sua sacralità. Quindi non vedo il problema, hai una fase Culto C, Luogo di Culto 1, quindi C1 a cui è seguita quella A4 e poi la C2”, finisce di chiarire Ugo.

Rita accenna col capo.

“Infatti anche a noi pareva così, ma poi abbiamo notato altri usi. Vedete qui, quella che era una tomba ad arcosolio è stata sfondata hanno fatto questo corridoio in salita e poi questa ambiente…”, ora sono entrati in fila in un’ampia sala e illuminano attorno, “…con sei sedili e questa sorta di trono, che chiaramente aveva uno scopo di riunione o roba simile”.

“E c’era qualcuno con un ruolo dominante. Cos’è quell’incisione sopra il trono che sembra un lampadario rovesciato?”, dice Luca.

“Boh, non si capisce, paiono tre righe sovrapposte, le due superiori con tre piccole V e quella inferiore con una sola. Una sorta di mappa della sala?”.

“Sembra un simbolo in caratteri cuneiformi, fatto di sette elementi. Sarà stata una sorta di sala del consiglio.”

Ugo accenna di sì con la testa, chiarisce: “Mi pare convincente, si tratta di un uso civile piuttosto raro, quindi è certamente da classificare Insediative Civili B, Altri Insediamenti 8, cioè B8. Io ho già avuto dei casi simili dalle mie parti…”

Rita interrompe Ugo: “sì, ma venite di qui, vedete che uno dei sedili è stato mezzo scavato via, rompendo la simmetria della sala, per realizzare questa scala in salita”, ci si infila, gli altri la seguono.

Emergono in un corridoio superiore, umido, con un odore di muffa e nicchiette alle pareti.

“Ecco, vedete, qui non riuscivamo a capire cosa avessero fatto a fare questa galleria con tutte queste nicchie, su sette livelli. Non sono né tombe né colombari, poi abbiamo fatto analizzare quei terricci e, scoperta, cosa abbiamo trovato?”

La complessità crescente della cavità e quest’ultima domanda stanno cominciando ad irritare i tre invitati.

“Coltivavano coca”, dice Ugo, e ridacchia per la sua battuta.

“Non coca ovviamente, ma funghi. Funghi allucinogeni!”, aggiunge trionfante Rita.

“Però, notevole, anche una cavità dalle mie parti aveva una destinazione simile, ma per coltivare champignon. Ma bene, questa è chiaramente l’ultima fase, ed è Estrattive E, Coltivazioni 5, quindi E5!”, dice Luca.

“E forse quella che abbiamo passato non era la sala delle riunioni ma di viaggi allucinogeni! Ma non è la fase finale perché il corridoio successivamente… Venite a vedere”.

Si incamminano e il corridoio si amplia dopo aver ricevuto una galleria ascendente da cui arriva un rigagnolo, le nicchie sono ancora visibili ma scalpellate, la galleria ora è in lieve discesa e va curvando.

“Chiaramente questo tratto di galleria, una volta in disuso per la coltivazione, è stato riutilizzato come scarico, come fognatura!”, conclude Rita.

“Curioso. Dunque questa cavità sarebbe C1 poi A4 poi C2 poi B8 poi E5 e infine qui Idrauliche A, Fognature 7. Insomma, A7!”

“Anche a noi pareva così semplice”, dice Rita, “ma in tal caso non vi avremmo consultati”.

Sei occhi la fissano sorpresi.

Lascia passare qualche secondo di silenzio e poi aggiunge, con enfasi: “pare effettivamente più recente, e infatti qui ci sono incisioni…”, illumina un punto della parete; con la luce radente appaiono delle linee, un paio di lettere consunte e un sette.

“Sembrano robe più recenti ma se continui nella galleria puoi andare avanti per un centinaio di metri sino ad una frana. Il guaio è che la galleria passa vicino alla cisterna già luogo di culto che abbiamo visto all’inizio”.

“E la taglia”, dice Ugo.

“No. E’ il luogo di culto che è stato chiaramente costruito evitando la fognatura. E anzi, la cosa misteriosa è proprio che la sorgente del sala del culto scaricava nella fognatura, appunto”.

Si fa silenzio. Lo rompe Luca.

“Ma questo è impossibile, la fognatura sarebbe quindi precedente a tutto!”

“Esatto, e se guardi nel dettaglio come è fatta, vedi che è tutta quanta progettata prima del luogo di culto. Anche la tecnica di scavo è uguale da cima a fondo. La sala è successiva, viene riutilizzata come cisterna sotterranea con gallerie di accesso, poi adattate per usi sepolcrali, poi ampliata per chissà quali riunioni, poi adattata per coltivazioni di funghi sicuramente in relazione alle riunioni, e infine trasformata in fognatura. Che però è precedente al luogo di culto. Chiaramente”.

Il silenzio che scende è rotto solo da un lontano gorgogliare d’acqua. Sembra che il ruscello ridacchi.

Rita assapora il trionfo, continua: “quindi è da classificare C1, A4, C2, B8, E5, A7, poi riprende C1, A4 e così via all’infinito, come un serpente che si morde la coda. Ma potrebbe anche essere A4, C2, B8, E5, A7, C1 e via dicendo a seconda di quale uno considera la prima fase. Quindi non è una cavità artificiale facile da classificare”.

“E’ un Uroboro”, dice Ugo.

“Cosa?”

“Un serpente che si morde la coda. Dal greco Ouroboros. Dalle mie parti…”.

“No, è vero, non è facile classificare. Ma notate, le lettere della Classificazione sono: CACBEA”, dice Anna pensierosa.

“Brava Anna, bella idea! Potrebbe essere il nome in qualche lingua pre-indoeuropea! Kak-Bea, cosa potrebbe significare? Grotta Urbana? Cavità Artificiale? Questo sarebbe un serio argomento a sostegno della nostra Classificazione delle Cavità Artificiali”, dice Luca.

“O forse la chiave è nel 142857. Vediamo…”

Ugo lo scrive sul pavimento.

“Non pare un numero interessante”, dice Anna.

“E’ impossibile che non sia interessante, questo significherebbe che il nostro Albero delle Tipologie è sbagliato. Se lo moltiplico per due cosa succede? Anna, hai la calcolatrice nel tuo telefono?”

“Certo”. Lo estrae di tasca e poi batte il numero sulla tastiera.

“Per due uguale a duecentoottantacinquemila settecentoquattordici. Non è interessante neppure questo”

“Strano, prova per tre”.

Lo stillicidio continua in lontananza.

“Dunque per tre fa quattrocentoventottomila cinquecentosettantuno. Niente”.

“Io credo che la chiave sia nella parola non indoeuropea e non nei numeri, figurati se quelli che hanno scavato questa cavità erano matematici”, dice Luca.

“Può darsi, ma Anna, prova ancora, per quattro cosa fa?”

“Fa… cinquecentosettantunomila quattrocentoventotto”

“… No, non ha nessun senso”.

“Forse Bea Cac era il nome della sacerdotessa dei riti della sorgente, vestale di Vacuna”, ipotizza Anna.

“O forse il nome era Ak Beac, lo stregone dei riti allucinogeni”, dice Luca.

“Aspetta Anna, prova a moltiplicare il numero per cinque”, dice Rita che prima era rimasta pensierosa a guardare lo schermo del telefono di Anna mentre faceva i calcoli.

“Uffa, fa… settecentoquattordicimila duecentoottantacinque”.

“Ho capito!”, urla Rita, suscitando echi nelle gallerie.

La fissano tutti. Prende il telefono dalle mani di Anna,

“Che fantastica la vostra Classificazione delle cavità artificiali, fantastica. Ecco, 142857 per 2 fa…”, si è chinata a incidere col dito le cifre sul fango secco del pavimento, “285714, poi per 3 fa…”, digita e scrive il nuovo numero sotto il precedente, “428571, per 4 fa 571428, per 5 fa 714285 e a questo punto per 6 farà… 857142!!! Incredibile!”

“Incredibile cosa?” chiede Luca.

“Non vedi che sono sempre le stesse cifre, nello stesso ordine, che scorrono? Puoi variare il punto iniziale, ma poi la sequenza è sempre la stessa, circolare nelle cifre. E questa cavità è circolare nel tempo!”

Si è fatto silenzio, mentre gli altri cercano di afferrare la cosa.

“Ma com’è possibile?”, chiede Anna.

“Non lo so, è un mistero matematico”, dice Rita.

Luca, si è perso fra i numeri e continua a pensare alle lettere.

“Non escluderei comunque il nome K-Beaca, con un suono occlusivo palatale iniziale che è caratteristico di tante lingue del substrato mediterraneo. Forse era il nome del progettista della cavità”.

“Che evidentemente doveva essere un raffinato matematico”, conferma Ugo, sollevato, “anche dalle nostre parti ci sono diverse cavità che possono essere classificate con una palatale sonora. E a questo proposito, nella Classificazione manca la R, quindi le sigle delle cavità non possono rendere i nomi originali se in quelli c’erano delle consonanti vibranti”.

“Hai ragione Ugo”, dice Luca, “sono consonanti molto usate nel substrato linguistico mediterraneo. Ad esempio non si può rendere il suono KR, che sta per luogo pietroso e da cui derivano le parole carso e…”.

“Sì, alla prossima riunione facciamo una riflessione su questo punto per perfezionare l’Albero delle Tipologie”, taglia Anna.

“Ma nel frattempo come la classifichiamo?”, chiede Rita.

Si fa silenzio. Lo rompe Anna.

“Potremmo fare così, in attesa della riunione: stabiliamo che per le cavità circolari nel tempo come è questa, la classificazione è O, che è circolare, seguita dai numeri della classificazione”.

“Bell’idea, Anna, O di Ouroboros”, dice Luca.

“Oppure uno zero, che è anche circolare!” dice Rita.

“Va bene, anche uno zero. E poi c’è la serie dei numeri, qui 0,142857”.

“Anzi, ripetendo la serie dei numeri all’infinito, come nei numeri periodici”.

“Ma questo è impossibile, riempiresti qualsiasi scheda catastale, anche grandissima”.

“Giusto, non si può”. Riflette.

“Idea! Segni solo il periodo, con un soprasegno come si fa in matematica”.

“Già, ma quei numeri periodici non erano frazioni?”, chiede Luca.

“Ah è vero Luca, sei un genio, vediamo che frazione è. Sarà l’inverso di qualcosa”, Anna ha afferrato il telefono e scrive.

“Uno diviso zero virgola uno quattro due otto cinque sette uno quattro due otto cinque sette uno quattro due” ha riempito lo spazio delle cifre.

“Uguale a…”.

Si zittisce, con gli occhi sbarrati a guardare lo schermo. Lo mostra agli altri.

Altri sei occhi si sbarrano.

C’è scritto: “7”. Esattamente.

In lontananza il ruscello continua a creare echi nella galleria. Pare che ridacchi.

©Giovanni Badino è vietata la riproduzione anche parziale del testo.

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